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DAL DISSENSO AI PROFESSIONISTI DELLE MOLOTOV

Ettore Boffano su la Repubblica – Torino del 19/5/2013

«CON appena un poco di buona volontà, si può elencare un discreto numero di cause ragionevoli, e un numerò pressoché illimitato di cause irragionevoli, dotate di altrettanta verosimiglianza ed efficacia » (Enrico Fenzi “Armi e bagagli. Un diario delle Brigate Rosse”)

C’è voluto un lancio organizzato di bombe molotov e di bengala e l’aggressione premeditata a un lavoratore (un “crumiro”, un ‘traditore’: pare di leggere certe cronache su un numero qualsiasi di un qualunque giornale della sinistra extraparlamentare degli Anni 70) per spiegare, magari a chi ne aveva ancora bisogno, che la “normalità” è la discussione attorno al cantiere del Tav tra Chiomonte e Giaglione e che la vera “anormalità”, invece, sono i modi di contestarlo.


Sul parabrezza dell’auto della moglie di quello stesso lavoratore del cantiere del Tav, qualche mese fa, qualcuno avevano lasciato un biglietto eloquente e da far venire i brividi (“Sappiamo dove vivi!”), in quella Valle di Susa nella quale – 30 anni fa – i ragazzi delle Ronde Proletarie e poi di Prima Linea assaltavano persino un treno, come nel Far West.

OGGI, alcuni di loro — incanutiti e spelacchiati dal carcere e dai fallimenti esistenziali — partecipano alle marce urlando un improbabile “A sarà dura!”. Le molotov invece, spiegano sui blog e sui siti dell’antagonismo valsusino, erano destinate a un generatore elettrico finito arrosto in quella piccola “notte dei fuochi”, ma i lavoratori del cantiere la raccontano diversamente: “Era il turno di notte. Il tunnel si è riempito di fumo, le molotov sono cadute all’ingresso. La polizia ci ha messo 20 minuti a intervenire. L’idrante non funzionava, non si sa perché, forse una batteria scarica, abbiamo bagnato le maglie e ce le siamo messe davanti alla faccia per respirare.”.
C’è voluto tutto questo dunque e l’appello (“Non può essere la procura a
risolvere il problema, la politica si muova”) di un magistrato come Giancarlo Caselli che di faccende brutte per lo Stato ne ha già sbrogliate parecchie in passato (dalle Brigate Rosse e dai loro consensi nella grande fabbrica, sino a ciò che molti a Roma avevano intuito, e cioè che Giulio Andreotti aveva dialogato con Cosa Nostra), per riportare ogni cosa alla normalità di queste ore. Una normalità che non esclude, purtroppo, future tappe violente e avvelenate di questa vicenda dell’Alta Velocità tra Lione e Torino, ma che almeno ha adesso il merito di aver sgombrato il campo dagli equivoci, dai distinguo interessati e dai silenzi colpevoli.
Quella che era già una minoranza (tra la maggioranza delle istituzioni e dei cittadini della Valle di Susa, ma ancora di più in Italia e nell’Unione Europea), ha lasciato macchiare ormai indelebilmente
il proprio legittimo diritto al dissenso dai professionisti della violenza, e non riesce più a difendersi da questo contagio. «Vengono da fuori » è il refrain che, da un sacco di tempo, si leva — ormai spuntato e inefficace — a commentare ogni nuova escalation della violenza attorno al cantiere di Chiomonte. «Non c’entrano con la nostra lotta», ti spiegano ancora adesso i volti perbene di signori sessantenni subito ammutoliti, però, quando gli indichi gli orribili viadotti dell’autostrada del Frejus costruita ai tempi della ‘ndrangheta e del malaffare tra politica e criminalità. Oppure quando gli parli di quel secondo tunnel che, intanto, stanno scavando — in un silenzio assordante e colpevole — dalle parti di Bardonecchia. Per quei Tir che pagano il pedaggio, ma che non smettono di inquinare, e tirando fuori dalla montagna veleni forse ancora più
pericolosi di quelli del futuro scavo per il Tav. «C’eravate anche allora, vero? — provi a chiedergli — Avevate 30 anni invece di 60, ma ve ne stavate zitti e incassavate i rimborsi pubblici e le intimidazioni delle ‘ndrine. «. E la risposta a questa domanda è sempre la stessa, disarmante e improduttiva: «Ma che cosa dici, il discorso è un altro. « Alla fine, però, le molotov sono arrivate e quel lavoratore, invece, ora se ne sta chiuso in casa: spaventato e con il volto ferito. La procura, intanto, ipotizza per l’assalto della piccola «notte dei fuochi» il reato mdi tentato omicidio, contestato per adesso contro ignoti. Tutto ciò inevitabilmente non contribuirà a rasserenare il clima e garantirà, al contrario, altre pessime puntate della saga valsusina. Ma almeno, pur nella sua brutale violenza, ha avuto un compito ingrato, ma ormai definitivo e irreversibile: spiegarci che
la normalità non abita più tra chi, minoranza in mezzo a una maggioranza, l’Alta Velocità in Valle di Susa non la vuole.
P. S.:
La “normalità” è anche un latitante della violenza No Tav che, al Salone del Libro, contesta a Caselli di “aver usato la toga” contro il dissenso ai tempi in cui l’eversione armata progettava di ucciderlo dopo aver già colpito i suoi colleghi Guido Galli ed Emilio Alessandrini. E non è un caso che ciò avvenga a pochi giorni da quando la vicenda di Guido Galli e di sua figlia, oggi anch’essa magistrato, è stata usata da un eccellentissimo imputato per cercare di allontanare i propri processi da Milano. Sono le due opposte illegalità di questa difficilissima transizione italiana che si ritrovano, per infamare i servitori dello Stato democratico.