I vantaggi del riordino territoriale
Graziano Delrio (Ministro per gli Affari regionali e le autonomie) sul Corriere della Sera del 4/8/2013
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Caro direttore, il disegno di legge di riordino del sistema territoriale, che ho recentemente presentato e che il Consiglio dei ministri ha approvato, ha aperto un dibattito interessante, soprattutto con riferimento alla parte che riguarda le Province. Numerose sono state le valutazioni positive e anche quelle più critiche che mi stimolano a precisare alcune premesse concettuali che hanno guidato la proposta del governo.In primo luogo, le riforme non si fanno «contro qualcuno» ma «per qualcosa».
L’obiettivo della norma non è certo quello di colpire un’istituzione, ma quello di rendere più vicini ai bisogni dei cittadini e delle imprese le scelte di area vasta che divengono sempre più importanti e proprio perciò da ripensare e migliorare. Non si aboliscono certo le decisioni di area vasta, ma al contrario si innovano i processi che portano a prendere tali decisioni rendendoli più forti e diretti. Valorizzare le comunità primarie e le identità locali, attraverso la partecipazione in prima persona dei sindaci eletti, nelle scelte di programmazione dei territori, significa esattamente questo: portare direttamente al cuore delle decisioni di area vasta le istanze più concrete e reali delle comunità locali. In secondo luogo, come ben spiegato recentemente da Sabino Cassese, le norme possono creare alcune condizioni per risolvere problemi, ma non risolvono automaticamente i problemi. I problemi si affrontano e si risolvono attraverso i processi reali, quotidiani e concreti che seguono le norme. Le riforme sono processi, non eventi. Nessuna legge nazionale potrà mai riordinare in modo coerente ed efficiente il funzionamento operativo di migliaia di enti sui territori. Solo attente analisi, locali e specifiche, dei singoli contesti permetteranno scelte razionali e sensate di soppressione, razionalizzazione, riallocazione di funzioni e risorse. E questo è quello che abbiamo fatto: abbiamo creato le condizioni perché si possano ripensare i processi reali di funzionamento dei territori. Si pensi allo spazio che le Regioni avranno nel guidare processi di riordino dell’assetto istituzionale o di ripensamento degli ambiti ottimali di gestione dei servizi. O ancora si pensi a come possano essere ripensati i distretti sociosanitari, le forme consortili tra Comuni, tutti i livelli intermedi tra Regioni e Comuni. Si pensi alle opportunità che possono essere sfruttate dai sindaci valorizzando le unioni e le aree vaste. Ma si pensi anche al ruolo nuovo che altri attori, come il sistema imprenditoriale rappresentato nelle Camere di commercio, possono assumere nella riforma di un’area vasta di cui il Paese ha massimo bisogno: quella delle Aree metropolitane. Certamente se ci poniamo in un’ottica solo burocratico-amministrativa di riparto di vecchie funzioni provinciali non ci sarà nessuna innovazione, ma se assumiamo la prospettiva di territori che vedono in questa riforma l’occasione per guardare al futuro, per affrontare la sfida di ripensare le proprie strategie di crescita e coesione, per riformulare le proprie politiche pubbliche e riorganizzare i propri sistemi amministrativi allora «il vuoto» si trasforma in «spazio di innovazione». In terzo luogo non esistono le riforme ideali. Esistono solo riforme possibili. Tutte le riforme epocali che si sono poste obiettivi stratosferici in termini di spesa o di complessità decisionale, sono fallite e finite nel nulla generando solo costi e problemi. Abbiamo voluto evitare questo. Abbiamo cercato di formulare un disegno organico, ma con poche norme e soprattutto pochi rimandi a ulteriori passaggi decisionali necessari per lo startup operativo. Dunque ad esempio la previsione potrà essere variabile ma comunque i risparmi sono certi e potenzialmente elevati in una prospettiva di ripensamento territoriale. Ad esempio le forme della rappresentanza saranno forse faticose in prima battuta, ma sono immediatamente esecutive e con meccanismi previsti per essere autonomamente riviste in prospettiva. Insomma se si vuole partire la macchina è pronta e basta mettere in moto. Per fare il viaggio invece bisogna essere capaci di guidare e questa è la sfida che si giocano i territori. Il nostro Paese con il benaltrismo è da troppi anni bloccato tra sogni che mai si realizzano e realtà quotidiana che mai si modifica neppure di un passo. Così bloccato che ha perso persino la speranza che si possa cambiare. Proviamo a muovere almeno un passo e forse ritroveremo anche il coraggio di farne altri più lunghi.Ministro per gli Affari regionali e le autonomie