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SANITÀ DI TERRITORIO. MONICA CANALIS: “SE MANCANO LE CURE A DOMICILIO AUMENTANO I RICOVERI IN OSPEDALE”

Se mancano le cure a domicilio aumentano i ricoveri in ospedale.

Ancora una volta la sanità territoriale ha dimostrato di essere il punto debole della sanità piemontese. Negli ultimi anni i servizi sanitari di prossimità sono stati depauperati lasciando scoperto il settore della prevenzione e della cura domiciliare. Cinque sono i pilastri della medicina di territorio su cui si sarebbe dovuto investire per invertire la traiettoria ed evitare ricoveri inappropriati e pronto soccorso ingolfati:

1)     I SISP (Servizi di Igiene e Sanità Pubblica) delle Asl, che hanno il compito di coordinare le attività di prevenzione, vigilanza, vaccinazione e profilassi delle malattie infettive, con la funzione specifica di prevenire i contagi sul territorio prima dell’ospedalizzazione. In Piemonte queste strutture sono drammaticamente sotto organico e sotto stress e questo ha causato evidenti colli di bottiglia nella comunicazione con i medici di base e con i pazienti. La macchina dei tamponi imballata, con centinaia di persone sequestrate a casa nella scandalosa attesa di un tampone o del suo esito, è il frutto della disorganizzazione dei SISP e dell’inefficienza della Piattaforma informatica Covid.

2)     I Medici di base (MMG – Medici di Medicina Generale, PLS – Pediatri di Libera Scelta, MCA – Medici di Continuità Assistenziale cioè le guardie mediche, medici del 118). I MMG e i PLS sono liberi professionisti che lavorano in convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale e Regionale. In Piemonte sono più di 4.000. Soltanto il 13 maggio la Giunta regionale ha concluso un accordo con questa categoria per migliorare le richieste di tamponi e le messe in quarantena. Soltanto il 2 novembre questi medici sono stati abilitati a prenotare direttamente i tamponi nella Piattaforma Covid, senza dover attendere l’ulteriore passaggio della validazione del Sisp. Un sensibile ritardo, che ha creato un eccessivo carico di lavoro su queste figure, aggravato dalla carente procedura di raccordo coi SISP, dall’inefficienza della Piattaforma informatica Covid e dal compito aggiuntivo delle vaccinazioni anti influenzali.

3)     Le Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA) istituite dal DL 14 del 9 marzo. In Piemonte sono 88 (una ogni 50.000 abitanti) ed hanno il compito di visitare e curare i pazienti Covid a domicilio. Sapete quando è stato concluso il Protocollo regionale per le cure domiciliari delle USCA? Soltanto il 31 ottobre. Fino ad allora i medici ed infermieri di queste Unità venivano usati anche per fare i tamponi, cioè per funzioni diverse da quelle per cui sono preposti.

4)     Le Residenze Sanitarie Assistite (RSA). Queste strutture sono concessionarie di pubblico servizio ed erogano livelli essenziali di assistenza a titolarità sanitaria. I posti letto accreditati nelle RSA del Piemonte al 31 dicembre 2019 erano 29.595, di cui 14.000 in convenzione cioè col 50% della retta pagato dalla Regione. La gran parte di queste persone sono non autosufficienti e pluri patologiche, cioè molto fragili. Si stima che almeno la metà dei 4.742 morti per Covid del Piemonte provenga dalle Rsa, che sono state pertanto l’epicentro dell’epidemia. Tuttavia ancora adesso molte non hanno un medico interno, sono mal collegate con i medici di base e ad oggi sono state raggiunte in minima parte dal vaccino anti influenzale (meno del 20% degli ospiti).

5)     Ultime ma non per importanza le cure domiciliari per i non autosufficienti. L’assistenza alle persone non autosufficienti è un tema prioritario in una Regione con un quarto della popolazione sopra i 65 anni. Eppure, la Regione Piemonte in questi mesi di pandemia da un lato non ha attivato nuovi posti in convenzione per sostituire quelli rimasti vuoti nelle Rsa (e in questo modo ha già risparmiato almeno 30 milioni di euro) e dall’altro ha bloccato drasticamente i nuovi progetti di assistenza domiciliare nella città di Torino, la cui popolazione è un quinto del Piemonte. Così le famiglie rischiano di scoppiare e lievitano i ricoveri ospedalieri inappropriati. La Giunta regionale ha dichiarato di voler portare nel 2020 le prestazioni domiciliari regionali per non autosufficienti da 25.000 a 26.000, utilizzando le maggiori risorse stanziate quest’anno dal Governo, ma siamo in ritardo e temiamo sperequazioni territoriali.

Cosa propone il Pd nell’immediato?

1)     Migliorare la macchina dei tamponi: garantire maggiore rapidità anche sui tamponi di guarigione, cioè quelli che devono essere fatti dopo 10 – 14 giorni dalla diagnosi (in questo caso, infatti, il medico di medicina generale non può fare la prenotazione e il rischio è che il Sisp non chiami il paziente, che dovrà restare a casa, gravando sull’Inps, pur essendo probabilmente guarito!); garantire anche i tamponi a domicilio; consentire ai Sisp di dare l’esito del tampone direttamente al paziente, riducendo sensibilmente i tempi di attesa.

2)     Identificare strutture temporanee per isolare i positivi delle Rsa (poche Rsa hanno nelle proprie strutture gli spazi necessari); garantire priorità agli ospiti delle Rsa nel piano vaccinale anti influenzale; sbloccare al più presto i nuovi inserimenti in convenzione nelle Rsa per evitare che venga meno la loro sostenibilità finanziaria e che le famiglie siano lasciate sole; supportare le Rsa nella ricerca di personale (negli ultimi mesi c’è stato un drenaggio di personale dalle Rsa alla sanità pubblica).

Cosa propone il Pd sul lungo periodo? Cinque cardini su cui improntare il lavoro futuro:

1)     Potenziare il rapporto ospedale e territorio, attraverso una maggiore strategia integrativa di collaborazione tra Medici di Medicina Generale, Pediatri di Libera Scelta, 118, specialisti territoriali ed ospedalieri;

2)     Dare centralità all’assistenza domiciliare che presuppone un investimento importante sulla riorganizzazione della medicina territoriale, per concentrarsi sulla prevenzione, ridurre in modo significativo i ricoveri in ospedale o la collocazione in Rsa e garantire una più efficace presa in carico integrata del paziente, attraverso prestazioni fornite da diversi professionisti (medici, operatori socio-sanitari, psicologi, fisioterapisti…). Il rafforzamento della medicina del territorio passa da: finanziamento e definizione del Regolamento attuativo della Legge Regionale 10/2010, potenziamento delle forme associative delle Case della salute (instaurando stretta relazione con i MMG e i PLS), rafforzamento della telemedicina e della diagnostica domiciliare, degli infermieri di comunità. Organizzare il territorio con infermiere e professionista sanitario “di quartiere” o di valle (fisioterapista, dietista, tecnico di radiologia con strumenti trasportabili, ecc), con il medico di medicina generale come case manager. Senza dimenticare la necessità di un intervento normativo nazionale che riconosca finalmente l’esigibilità delle prestazioni socio-sanitarie domiciliari, nonché i relativi finanziamenti;

3)     Riformare le Rsa, garantendo maggiore integrazione con il sistema sociale e sanitario, dimensioni più contenute delle strutture, tariffazioni più eque, minore isolamento rispetto al territorio

4)     Dare centralità alle USCA e potenziare i Sisp

5)     Attuare e finanziare il piano cronicità regionale con un potenziamento delle cure primarie e il maggiore coinvolgimento dei Medici di Medicina Generale

C’è molto da fare, ma non dobbiamo perderci d’animo perché molte di queste azioni sono possibili anche in un quadro di scarse risorse finanziarie: bastano la volontà politica e molta più capacità manageriale ed organizzativa!

Monica Canalis, Consigliera Regionale PD Piemonte