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Relazione del Segretario Regionale Gianfranco Morgando – Assemblea Regionale – 26 maggio 2012 – Alessandria
Relazione del Segretario Regionale Gianfranco Morgando – Assemblea Regionale – 26 maggio 2012 – Alessandria
Propongo di partire nella nostra riflessione dalla situazione economica e sociale del Piemonte. Nelle scorse settimane Unioncamere e Confindustria hanno reso noto il loro rapporto congiunturale, che ha confermato una situazione molto preoccupante. Cala la produzione industriale, in tutte le province e in tutti i settori. Calano i consumi interni e gli ordinativi. Calano i fatturati delle aziende. La crisi delle piccole imprese è sempre più grave, e a Torino gli artigiani hanno consegnato asl Prefetto le chiavi dei loro capannoni. Non cito dati. Li possiamo trovare facilmente in rete. L’unico dato in controtendenza è l’export, che non è però in grado di bilanciare il crollo del mercato interno. La recessione morde il Piemonte. Le più attendibili stime per il 2012 descrivono un peggioramento della recessione, con un calo del prodotto lordo regionale superiore all’1,5%.
Il Piemonte subisce in modo più accentuato rispetto alle grandi regioni del nord gli effetti negativi della crisi. Siamo la regione con il più alto tasso di disoccupazione, con la più alta quota di persone in cerca di occupazione, con il più alto tasso di disoccupazione giovanile. La Cassa Integrazione riprende a correre: quella ordinaria negli ultimi mesi è in forte crescita. Al 31 marzo 2012 i lavoratori in cassa integrazione straordinaria sono quasi 36.000. Le imprese interessate sono 582. Gli iscritti alle liste di mobilità nel mese di marzo sono quasi 47.000, con un aumento dell’8,4% rispetto all’anno precedente. La crescita riguarda in particolare i giovani di età inferiore ai 40anni e le donne. Le assunzioni riguardano prevalentemente contratti a progetto, prestazioni occasionali e lavori intermittenti. La crisi del mercato del lavoro ha come effetto diretto la diminuzione dei salari e del reddito delle famiglie.
In termini generali, tutti i dati dell’economia piemontese evidenziano come la regione subisca in modo più accentuato delle altre regioni del nord gli effetti della crisi. Per ciascuno di noi questa crisi ha dei nomi, che sono quelli delle aziende dei nostri territori che chiudono, delocalizzano, riducono l’occupazione.
Non è una novità. Questa constatazione è stata al centro del nostro convegno di Baveno dell’ottobre scorso, e l’abbiamo ribadita negli appuntamenti successivi dedicati alle questioni economiche. Ancora recentemente, il 16 aprile, ha fornito molti spunti di discussione nel seminario interno sulla crisi industriale e sulle strategie per affrontarla.
Il dato su cui dobbiamo riflettere è la persistenza della crisi, che sta assumendo un vero e proprio carattere strutturale. La questione economica è la vera questione politica del Piemonte. Il terremoto delle elezioni amministrative ha le sue origini nella questione economica e nella questione sociale. In momenti come questo appaiono ancor più intollerabili le disuguaglianze dei redditi, il privilegio di alcune categorie, la concentrazione della ricchezza, lo spreco e l’esibizione. Constato che siamo di fronte ad una vera e propria rivolta morale nei confronti di una situazione da tanti ritenuta intollerabile. So bene che la questione ha carattere nazionale, e condivido la posizione del PD: confermare il sostegno al governo, rafforzare la nostra capacità di proposta, individuare priorità capaci di dare il senso di una svolta ispirata alla solidarietà e all’equità. Lo abbiamo fatto sulla riforma del mercato del lavoro, e lo dobbiamo rifare sugli esodati, sulle risorse per il welfare, sugli enti locali. Mettiamo al cento le questioni economiche e sociali, rendiamo visibile questa nostra priorità, partiamo dalla crisi sociale del paese per affrontare tutti i problemi. Il lavoro e la solidarietà devono essere i temi associati all’azione del PD in questa fase della vita del paese.
La rivolta morale si manifesta soprattutto nei confronti della politica. Lo sperimentiamo quotidianamente, sui luoghi di lavoro, sugli autobus, nei bar di paese. Non è soltanto la caduta della fiducia nei partiti, che ci è stata spiegata dalle statistiche. E’ qualcosa di più. E’ la convinzione che nella politica risiedano tutte le responsabilità, e che un atto palingenetico, lo “spazzar via”, possano essere la via di uscita.
In questa ricerca del capro espiatorio molte categorie nascondono anche la responsabilità dei loro comportamenti, le chiusure corporative, la difesa dell’interesse particolare. Talvolta assisto incredulo alla fuga dalla responsabilità di pezzi importanti della classe dirigente, che ha contribuito a creare la situazione attuale, ma sembra dimenticare il ruolo che ha svolto. E quanti professionisti dell’antipolitica, sui giornali e nelle televisioni, costruiscono laute fortune personali sulla delegittimazione del sistema istituzionale e su quello dei partiti. E tuttavia nulla può nascondere il baratro che si è formato tra l’opinione pubblica e le forme organizzate della politica, i partiti, anche il nostro partito. Credo di interpretare il pensiero di tutti, se manifesto lo smarrimento di chi ha scelto la politica come “la forma più alta della carità”, il modo concreto per svolgere un servizio alla propria comunità, e oggi in tante occasioni è tentato di nascondere una vocazione, di mimetizzare un ruolo, di abbassare il livello del proprio impegno. Sono i frutti malati di una stagione inquinata dalla degenerazione della lotta politica, dai partiti personali che hanno alimentato carrierismi e ricerca dell’interesseprivato, dalla mediocrità e dal malaffare che abbiamo sotto gli occhi. Ma sono frutti che avvelenano anche le cose positive, le affondano in una melma indistinta da cui non è facile sollevare il capo.
Abbiamo registrato puntualmente questa situazione nei risultati delle recenti elezioni amministrative. Non li commento. Lo farà Federico Fornaro, con cui ci siamo divisi i compiti. Mi interessa soltanto una considerazione politica: fa bene Bersani a rivendicare il grande risultato del PD, che ribalta i rapporti di forza con il centro destra e ci consegna amministrazioni tradizionalmente a guida conservatrice. Il PD è il vincitore di queste consultazioni, le ha affrontate con autorevolezza, ed ha ottenuto risultati molto positivi. Evitiamo di essere noi per primi a costruire un quadro ambiguo e confuso. La disfatta di PDL e Lega, che sono quasi scomparsi dalla scena elettorale di queste consultazioni, è una delle facce del risultato del PD. Si è realizzato un ribaltamento strutturale dei rapporti di forza tra i poli. Tuttavia, dato a Cesare quel che è di Cesare, non possiamo nasconderci i problemi. La crisi della politica investe in pieno anche noi. “La miscela inedita di astensionismo, frustrazione indotta dalla crisi economica, paura del futuro, orientamenti anti sistema rappresenta una bomba pronta ad esplodere sotto le gambe di un assetto politico corroso e indebolito”. Un’esplosione che potrebbe travolgere anche noi.
Questa ambivalenza dei risultati elettorali, come credo ci dirà Federico, la troviamo anche in Piemonte. Parleranno dopo, ma permettetemi di rinnovare un caloroso saluto a Rita Rossa ed a Fabrizio Brignolo. La loro vittoria, che strappa al PDL amministrazioni importantissime come Alessandria e Asti, è il segno e l’interpretazione delle elezioni piemontesi. Si consolida sul territorio quell’alternativa nel consenso che è iniziata lo scorso anno a Novara. Anche in Piemonte la sconfitta del centro destra è cocente. In molte realtà la Lega non entra nemmeno nei Consigli comunali. E non solo nei capoluoghi di provincia. Voglio citare Omegna, vinta al primo turno. E molte città di medie dimensioni. Tra le altre Racconigi e Santena. Ringrazio i candidati, i dirigenti del partito, i militanti, che ci hanno consentito di raggiungere questi risultati.
Naturalmente c’è anche Cuneo. Abbiamo perso la città e ottenuto un risultato modesto, anche se la frantumazione ha colpito tutte le liste e, per un paradosso, il PD esce dalle urne con la percentuale più alta. Spero che i cuneesi ci diano un contributo a capire meglio. Io la penso così:
Abbiamo sbagliato alle primarie, concependole come lo strumento per regolare i rapporti di forza interni. E siamo stati giustamente puniti dall’elettorato. Qualcosa nelle regole bisognerà cambiare, ma la questione è squisitamente politica, di responsabilità del gruppo dirigente. Abbiamo cambiato linea politica, spostando a sinistra l’asse del partito, con la presunzione che avremmo potuto facilmente riprendere i rapporti con “Cuneo solidale” dopo la vittoria delle primarie. E’ stato un errore grave, anche se “commesso all’unanimità”, visto che il Sindaco Valmaggia era il garante delle primarie e l’estensore del documento programmatico comune. Riconosco da parte mia una sottovalutazione del problema. Non certo, come qualcuno ha sostenuto, una disattenzione ed una trascuratezza.
Rifarei la scelta di sostenere Garelli. La coerenza e il rispetto della parola data sono una virtù che dobbiamo praticare anche nelle avversità, soprattutto dopo che erano intervenuti importanti chiarimenti sul piano programmatico. Tuttavia devo dire che i nostri appelli a mitigare il profilo radicale del candidato e della coalizione sono caduti nel vuoto, e si è un po’ per volta affermata una linea “alternativista” che non abbiamo saputo contrastare con eficacia.
Sul che fare si dovrà discutere nel partito cuneese. E’ in agenda nei prossimi giorni l’Assemblea del circolo. Penso che la nostra posizione debba essere caratterizzata da una grande apertura al dialogo con la città, a partire dal Sindaco e da forze significative della maggioranza. Non ha vinto la destra a Cuneo. Sui banchi del consiglio siederanno persone che hanno condiviso con noi tratti di strada politica ed amministrativa. Passerà presto la velleità dell’”esperimento nazionale”, e ritorneranno i problemi concreti su cui il PD sarà chiamato a confrontarsi. Un PD che è uscito cambiato dalle urne, con volti nuovi che sono un potenziale gruppo dirigente per il futuro.
Renato Manheimer, sul “Corriere della sera” di giovedì, ha ipotizzato un elettorato potenziale del Movimento 5 stelle valutabile intorno al 50%, con un orientamento al voto registrato da IPSOS di poco meno del 20%. E’ certamente il frutto della esasperata concentrazione mediatica di questi giorni sul “fenomeno Grillo”, e di una descrizione falsata del risultato elettorale. Tuttavia vedo il rischio che esploda una novità destinata ad avere effetti duraturi, e a dare corpo a quelle teorie della “fine della politica” che si sono affacciate nel dibattito di fine novecento. Ne trovo l’espressione nella voluta esasperazione dei linguaggi, che ripropongono l’insulto e l’offesa come strumento ordinario di dibattito; nella centralità di nuove “agorà” virtuali, che sono soltanto apparentemente strumenti di partecipazione; nell’esplicito richiamo al superamento delle categorie politiche tradizionali, ad esempio di quelle di “destra” e di “sinistra”. Con altre modalità, meno raffinate e più “popolane”, ma con lo stesso spirito, abbiamo già conosciuto la Lega. Oggi travolta dalla corruzione e dal malaffare, ma dopo aver svolto per vent’anni un ruolo devastante nella politica italiana. Come la Lega ha inciso profondamente, anche dal punto di vista elettorale, sul consenso popolare e di centro sinistra, così sta capitando per il movimento cinque stelle: il pericolo che, al di là dei contenuti, il messaggio politico di Grillo venga individuato come sbocco possibile da una parte del nostro elettorato è un pericolo reale.
Dovremo studiare meglio il fenomeno, approfondire. Anche il nostro dibattito di stamane sarà molto utile. Penso che dobbiamo muoverci in due direzioni. Da un lato incalzare Grillo e il suo movimento sui problemi. Ha ragione Bersani: gli insulti nascondono sempre la povertà degli argomenti, ed è ora che ci si confronti sui contenuti, dal lavoro alla crisi economica. Vedremo su questi temi chi avrà la capacità di andare più lontano. Dall’altro lato dobbiamo riconoscere e capire le pulsioni che si agitano nel profondo della società italiana, e che hanno dato origine al fenomeno, confrontarsi con quello che rappresentano, utilizzarli come sensori di nuove domande rivolte alla politica.
Dobbiamo costruire una nuova offerta politica. Il PD, nelle macerie del risultato elettorale, si è affermato come l’unica forza in grado di resistere. Ne dobbiamo essere orgogliosi e consapevoli. E’ un segno di forza. Consentitemi di dire che non è il momento di inventare divisioni interne o polemiche sul vecchio e sul nuovo. E’ il momento dell’unità per trasmettere all’esterno sicurezza e determinazione. Anche per l’indeterminatezza della prospettiva delle alleanze, l’impegno di oggi è il rafforzamento del partito e il consolidamento della sua struttura e della sua proposta.
Dobbiamo però cogliere un rischio: che la forza del PD si restringa intorno ai nuclei tradizionali del nostro radicamento, sia dal punto di vista territoriale che da quello sociale e culturale. C’è molto da fare per competere nel mare aperto delle nuove sensibilità, ma quello è il campo della nostra iniziativa, per mantenere e rafforzare quel profilo di partito nuovo che insieme abbiamo deciso di costruire.
La nuova offerta politica ha dei contenuti nazionali, che sono stati delineati da Bersani e che condivido. Il PD deve dimostrarsi serio ed affidabile di fronte alla crisi, insistere nella proposta, chiarire il suo progetto di politica economica e sociale. E deve rispondere alla domanda di cambiamento, facendo approvare le riforme di cui si parla da tanto tempo: legge elettorale, finanziamento pubblico, riforma istituzionale. Poche cose, chiare e precise, che si possono fare nelle prossime settimane,riconducibili sotto il titolo della riforma della politica. Ecco: dobbiamo essere percepiti come il partito della riforma della politica, che ha il coraggio di mettere in discussione prima di tutto se stesso. Ed avere la forza di valorizzare i risultati ottenuti: propongo un plauso al gruppo PD della Camera, che è stato determinante nell’approvazione di una normativa molto seria e rigida sul finanziamento dei partiti. E’ un risultato nostro, anche se i meriti non ci sono stati riconosciuti dai commentatori.
Sappiamo tuttavia che tutto questo non basta. Sarà sempre considerato tardivo, ingannevole, insufficiente. Come qualche commentatore ha detto, “nessuna legge abbatterà il muro di diffidenza che si è alzato tra il sistema dei partiti e l’opinione pubblica”. Vorrei che provassimo, a partire dalla nostra assemblea, a capire cosa dobbiamo fare. Magari mettiamo in piedi un percorso di discussione, e pensiamo ad una nuova assemblea, dopo le ferie, per tirare le conclusioni.
Se dovessi proporre i titoli di questa discussione metterei in fila questi temi:
1) Una offerta politica profondamente rinnovata nella proposta e negli uomini. Non sono mai stato un giovanilista, e penso che l’intelligenza non si misura con gli anni. Ma guardate che il tema è ineludibile. Se noi, anche nelle prossime scadenze, daremo l’impressione di essere un contenitore per la continuità delle carriere, avremo delle sorprese negative.
2) Una offerta politica capace di aprirsi alla dimensione civica, di superare il rischio della sua autosufficienza. Le ultime elezioni ci forniscono abbondanti esempi di situazioni in cui abbiamo orgogliosamente scelto la nostra identità, registrando naturalmente la sconfitta.
3) Una offerta politica capace di esprimersi e di organizzarsi in modo innovativo. I nostri circoli, il nostro radicamento tradizionale, che mi sta tanto a cuore e di cui ho una considerazione grandissima, è contemporaneamente la nostra forza e la nostra insufficienza.
4) Una offerta politica che ritorni ad essere accogliente di idee, storie e culture diverse, che ricerchi la diversità, trovi il modo di riconoscerla nelle concrete modalità della sua vita interna, nella sua dimensione simbolica.
Il risultato elettorale è stato particolarmente significativo per i suoi riflessi sulla vicenda politica regionale. La crisi del PDL e della Lega, che escono dalle urne fortemente ridimensionati e in qualche caso semplicemente scomparsi, fa venir meno la legittimazione politica della maggioranza regionale. L’incapacità di decidere e di governare fa venir meno la legittimazione sostanziale. La Giunta di Cota è diventata un problema per il Piemonte. Eravamo stati facili profeti, nella riunione della Direzione regionale del 14 aprile, quando avevamo pronosticato una grave perdita di autorevolezza del Presidente della Regione ed un accentuarsi delle difficoltà politiche nel rapporto tra Lega e PDL. Francamente non pensavo ad una simile accelerazione.
I fatti sono sotto gli occhi di tutti. La tanto sbandierata riforma sanitaria è stata impugnata dal Governo; ci sono voluti mesi di discussione per approvare un bilancio di cui il nostro gruppo ha denunciato la falsità; la situazione finanziaria è al limite del collasso; le contraddizioni della maggioranza sono esplose, fino alla scissione del gruppo del PDL; il tribunale penale ha confermato la condanna per le firme false di Giovine.
Ho citato le cose più importanti, ma potrei continuare. C’è una sola conclusione: la Giunta di Cota ha esaurito la sua funzione. Le sue dimissioni sarebbero un atto di responsabilità nei confronti del Piemonte. Il PD deve esercitare tutta la sua iniziativa e la sua forza per ottenere questo risultato. La caduta del governo regionale è l’obiettivo politico del PD.
Lo possiamo raggiungere con una forte iniziativa. Dobbiamo chiarire ai grandi soggetti della vita economica e sociale della regione che il Piemonte non ha interesse al faticoso trascinamento di una maggioranza che sta in piedi per istinto di autoconservazione e per timore delle elezioni. E dobbiamo spiegare ai cittadini piemontesi che c’è un’alternativa possibile, un’alternativa di contenuti e di metodo di governo, che noi ci sentiamo in grado di guidare. Su questa linea la segreteria regionale predisporrà un programma di iniziative concrete d’intesa con il gruppo regionale e con le segreterie provinciali. Mi permetto soltanto di rivolgere un invito: non dividiamoci tra falchi e colombe. Abbiamo tutti lo stesso obiettivo. Ed evitiamo il rischio di cadere nel movimentismo. Noi non siamo una minoranza che grida, ma il primo partito del Piemonte, e tutte le nostre iniziative devono tenerne conto.
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Dobbiamo partire dal Piemonte per riprendere i temi del nord. La sconfitta della Lega e del PDL determina la fine del “blocco nordista” basato sull’alleanza tra questi due partiti. Come acutamente nota Ilvo Diamanti, è la fine della questione settentrionale così come si è presentata alle origini della seconda repubblica. Ma è contemporaneamente il suo rilancio “come specchio di una domanda di rappresentanza politica largamente insoddisfatta”. Prima di tutto dobbiamo capire la natura di questa domanda, se si tratti ancora di quella tradizionale di tipo autonomista e federalista, o se la crisi abbia cambiato i termini della questione. Poi dobbiamo essere consapevoli che proprio al nord è cresciuta una “domanda etica”, forse superiore ad altre parti del paese, che pone in termini ancora più netti il tema della riforma della politica. Ed infine dobbiamo individuare le “forze motrici” dello sviluppo del nord (uso un concetto del prof. Berta all’incontro organizzato dai gruppi consiliari pd delle grandi città del nord) e diventarne gli interlocutori.
Naturalmente mi sono limitato a degli spunti. Spero che un po’ di approfondimento venga dal dibattito di oggi. In ogni caso vi invito fin d’ora tutti per il 30 giugno a Milano per un seminario di riflessione e per avviare l’iniziativa.
Sono alla conclusione. Il tempo che si apre davanti a noi è denso di incertezze. Pone domande sul senso della nostra azione e del nostro impegno. Qualche volta insinua la tentazione dell’abbandono. Ci serve tornare ai fondamentali. Per questo voglio terminare leggendo con voi un breve brano tratto da una relazione di Norberto Bobbio. Si tratta di una relazione tenuta a Brescia, nel ciclo “Incontri di cultura” organizzato da un gruppo di intellettuali cattolici, il 27 maggio 1959.
“Se la politica non servisse a migliorare la condizione umana sarebbe pura espressione di potenza. Non interesserebbe minimamente né me né voi. Ciò che ci spinge alla vita politica, nonostante le delusioni, le amarezze, le quotidiane stanchezze, è la coscienza che la politica non è soltanto intrigo e spirito di dominio. Non abbiamo perso tutte le speranze che la politica serva anche alla giustizia, a combattere il sopruso del più ricco, a resistere alla prepotenza del più forte. Ad indirizzare la storia umana verso una sempre più progressiva uguaglianza tra gli uomini”
Alessandria, 26 maggio 2012