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Non si sentono parole di condanna per le minacce fasciste dei No Tav

Marco Imarisio sul Corriere della Sera del 14/1/2013

La fissità di quelle immagini è la cosa peggiore. All’inizio è tutto aposto. L’insegna di una strada, la facciata di una villetta di campagna, il suo ingresso, le auto in cortile, un uomo che porta il cane a passeggio. Poi si capisce. Quell’uomo è osservato. Da qualcuno che gli vuole male. Il messaggio è feroce. Non ci sono ripari sicuri per te, gli stanno dicendo. Non hai segreti. Se e quando succederà qualcosa a te oppure alla tua famiglia, dipende solo da noi. Quell’uomo non è un criminale e neppure un pentito di mafia. Si chiama Massimo, è un bravo giornalista. Da tempo vive sotto scorta. Lo sorvegliano, gli invadono la posta elettronica, gli mandano pacchi bomba.


Adesso passiamo a un altro caso. C’è un uomo che trascorre la settimana a Roma per lavoro e lascia la sua famiglia nella città dove è cresciuto. Tre bambini, 9 e 6 anni, tre mesi. Si chiama Stefano, fa il senatore. Gli hanno fatto trovare qualche bottiglia incendiaria sul pianerottolo di casa. Non all’esterno del palazzo, proprio dentro, sulla porta. In estate gli hanno spedito una lettera con l’indirizzo della scuola calcio dei figli, dell’asilo, gli orari di entrata e uscita.

Queste cose accadono a Torino. Non da ieri. Massimo è il cronista che segue le vicende dei No Tav per La Stampa. Stefano è il primo esponente della sinistra ad aver denunciato una deriva di quel movimento oggi sotto gli occhi di tutti. Torino è la capitale degli scettici sulla Tav. Di quelli che sostengono l’inutilità dell’opera con un fervore da crociata. Tutto legittimo. Diciamolo, essere No Tav fa anche molto figo. Il magistrato pasionario in pensione, il sociologo resistente, il meteorologo da talk show, si fanno sentire. Sui giornali, in televisione, nei salotti cittadini. Li sanno a memoria, dati, studi naturalmente di parte, e scordano sempre una parola di condanna. Per le violenze, per un minaccioso restringimento della libertà personale diventato l’unica strategia di un movimento ormai in mano a gente incapace di separare le pulsioni peggiori dalla protesta. Il fervore rende distratti. Torino è sempre stata fiera della sua tradizione antifascista. Quello che stanno subendo Massimo e Stefano si chiama fascismo.