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Faccia a faccia Schulz-Juncker. Uniti contro populisti e scettici “E’ l’ultima chance per l’Europa”

Marco Zatterin su La Stampa del 8/5/2014

logo_stampa_Il candidato socialista Martin Schulz è in ritardo. Il rivale popolare Jean Claude Juncker ne approfitta per sdraiarsi su un divano e fare un pisolino. La campagna elettorale è dura, i due principali contendenti alla presidenza della Commissione Ue rimbalzano freneticamente di Paese in Paese. Quando si incontrano, nella piccola sala del Residence Palace, si abbracciano. In comune hanno un sincero europeismo e la narrativa sociale, ma non quella sul rigore. Il tedesco sarebbe per dare più tempo a Italia e Francia. Il lussemburghese risponde semplicemente «Nein!». Due volte. Covano molte ambizioni e qualche dubbio. Inseguono un traguardo possibile, ma ampiamente legato alla volontà dei governi nazionali e, pertanto, parecchio incerto.

Cominciamo da lei, presidente Juncker. Perché crede che Schulz perderà la corsa verso la Commissione Ue?

Juncker: «Perché vincerò io».

Come lo sa?

Juncker: «Perché lui perderà».

Herr Schulz, lei non sarà d’accordo…

Schulz: «Osservo un movimento verso la sinistra. Siamo nettamente avanti in certi Stati e perdiamo qualcosa in altri. Nel complesso vedo un calo tendenziale dei partiti cristiano-democratici che hanno largamente dominato l’Europa nell’ultimo decennio…».

Juncker: (interrompe) «Le formazioni legate al partito popolare non hanno dominato l’Europa, ma sono state regolarmente elette per governare i loro rispettivi Paesi».

Siete i capolista delle vostre famiglie politiche ma non apparite sui poster della campagna elettorale. In Germania si vede sola la Merkel. Siete candidati virtuali?

Juncker: «La stampa tedesca è concentrata sulla Germania e io non ho ancora incontrato un solo tedesco a cui io manchi sui manifesti. E nessuno in Lussemburgo me lo ha fatto notare. Credo che sia esagerato dar troppa importanza ai manifesti nazionali».

Però Schulz è ovunque sui muri tedeschi…

Juncker: «Non si vede sui poster lussemburghesi, in Italia o in Finlandia. La Germania non è il solo Paese di riferimento».

Schulz: «Bisogna considerare le abitudini elettorali dei Paesi e che questo esercizio politico è una prima assoluta. Detto ciò, avrei trovato giusto che la Cdu non nascondesse il suo capofila: i cittadini hanno il diritto di sapere chi è».

Siete candidati, ma circolano altri nomi. La danese Thorning-Schmdit, l’irlandese Kenny, il finlandese Katainen. Vi sentite traditi?

Schulz: «Il dibattito sulla possibilità che gli Stati aggirino il Parlamento europeo e tirino fuori dal capello un altro presidente non interessa agli elettori. Per loro è importante sapere se le loro voci potranno influenzare la scelta».

Abbia pazienza, a loro interessa eccome…

Schulz: «Ripeto: i leader socialisti si sono pronunciati per me, compresa la Thorning-Schmidt. I popolari per Juncker, sostenuto direttamente anche dalla Merkel che si è dichiarata apertamente contro di me. Non ho l’impressione sia stato un pesce d’aprile. I capi di Stato e di governo stanno prendendo la cosa sul serio».

Juncker: «Io non sono stato nominato capofila, ma eletto dal congresso del Ppe».

Schulz: «Anch’io sono stato eletto e non designato. Rivolto a Juncker: Tu però devi la nomina a Silvio Berlusconi».

Juncker: «Per me non è un problema».

Anche lei Herr Schulz deve molto a Berlusconi. L’ha paragonata a un kapò e, con quello scontro verbale l’ha resa celebre.

Schulz: «Se volete… Io combatto da vent’anni al Parlamento contro il populismo. In quell’occasione avevo sottolineato la vacuità di Berlusconi. È per questo che s’è parecchio scaldato. I populisti come lui hanno sempre un capro espiatorio e nessuna soluzione per i problemi».

Lei, Juncker è stato voluto dalla Merkel. Lei, Schulz, non sarà mai eletto senza il suo voto. Non è che la prossima Commissione rischia di diventare la lunga mano di Berlino?

Juncker: «Voi giornalisti siete ossessionati dalla Germania».

Al contrario, è un’inquietudine molto europea, piuttosto diffusa…

Juncker: «Di cui si parla solo soprattutto sui giornali».

Schulz: «Questa preoccupazione ha un fondamento corretto. Me la sottopongono spesso i colleghi socialisti, a cui rispondo che la Merkel non esprimerà certo il suo consenso votando per la Spd».

Fate parte della vecchia guardia. Come potete convincere gli elettori che incarnate la novità e il cambiamento?

Juncker: «Perché non parlate mai delle cose importanti? Mettete sul tavolo regole e populismi, poi restano sette minuti per i temi reali. Così non si forma l’opinione pubblica».

Schulz: «La lotta contro il populismo non ha che vedere con l’età. Grillo e Berlusconi sono grosso modo della stessa generazione. È la politica, non l’anagrafe. L’età non è un privilegio e la giovinezza non è un peccato. E viceversa».

Allora, come pensate di contenere estremismi e populisti?

Juncker: «Chi vota per i populisti, o per la destra, vota per delle parole vuote. Sono suffragi perduti. Anch’io ho cose da rimproverare all’Europa, sennò non mi sarei candidato alla guida della Commissione. Siamo un grande continente, non dobbiamo perderci dietro le piccole cose».

Vi battete per un’Europa più sociale. Siete favorevoli a un sussidio di disoccupazione comune?

Schulz: «Non credo che accadrà. Nel vicino futuro, i sistemi previdenziali resteranno nelle mani degli Stati».

Juncker: «Vorrebbe dire versare le quote a un’istituzione Ue. Non siamo pronti».

E l’assegno familiare europeo?

Juncker: «È un problema regolato dal 1957. Ognuno percepisce l’assegno laddove lavora. Io sono per un salario minimo ovunque».

Schulz: «È responsabilità dei governi. Lì deve restare».

Se foste stati in carica, cosa avreste fatto di diverso in questi anni per gestire la crisi?

Schulz: «Devo riconoscere che il Consiglio non avrebbe potuto fare molte cose diverse perché eravamo in difesa e in una situazione di emergenza».

È un complimento per Juncker, ex capo dell’Eurogruppo?

Schulz: «La crisi si è amplificata perché il Consiglio ha agito prima sui bilanci per riconquistare la fiducia degli investitori e poi della crescita. È una teoria che non funziona. Abbiamo ridotto i debiti con misure draconiane, ma la crescita non s’è vista. C’era bisogno di investimenti».

Lei, Schulz, vorrebbe allentare le regole sul debito?

Schulz: «Vorrei vedere che regole applichiamo veramente. Non esiste una impresa che investa senza prendere soldi a prestito. È giusto quello che fa Renzi? Viola le regole quando dà 80 euro alle famiglie per stimolare la domanda? Ne vorrei parlare a lungo, cosa che non è stata fatta da tempo. Abbiamo dei commissari Ue che usano i Trattati come fosse il catechismo…».

Nonostante tutto l’Europa attraversa la sua crisi più profonda. Debito da primato, disoccupazione massiccia…

Juncker: «È colpa del fatto che abbiamo parlato molto della crisi, senza prendere sempre buone iniziative. Ci sono Paesi che non si sono davvero impegnati nel consolidamento. Sono quelli dove la crescita è debole. In Francia, al meglio, la ripresa è modesta, e dobbiamo considerare che il debito è alto. Va tagliato perché altrimenti crescita e lavoro non sono possibili».

Italia e Francia dovrebbero avere più tempo per far ordine della finanza pubblica senza ingolfare l’economia?

Juncker: «No, nessun rinvio».

Schulz: «Renzi e Hollande sono nella situazione drammatica di dover risanare e allo stesso tempo agevolare la crescita. L’Europa deve avere a cuore che due Paesi del G8 si ristabiliscano. Se non accadesse, sarebbe un problema collettivo. Per questo occorre far differenza fra gli Stati e vedere di cosa hanno bisogno. Se avessero bisogno di un anno in più, sarei pronto a concederlo. Ma non credo che sarebbe giusto andare avanti per sempre».

Herr Juncker, l’asse francotedesco non c’è più perché Parigi è troppo debole, o Berlino troppo forte?

Juncker: «Potremmo dire che la Germania guida e la Francia insegue. O il contrario. L’idea che tutto dipende dagli ordini tedeschi è errata».

Caso ucraino e della Russia. Immaginate il ricorso a sanzioni economiche?

Schulz: «È stato dimostrato che c’è la Russia dietro le tensioni nell’Est dell’Ucraina e che Mosca non cessa di esercitare pressioni sui vicini. Le sanzioni economiche sarebbero una conseguenza logica. Consiglierei di decidere, e non solo di parlarne. Ma, allo stesso tempo, anche di lasciare una seconda porta aperta per il negoziato. Le sanzioni colpirebbero la Russia ma anche noi stessi e duramente».

Juncker: «Dipende dagli avvenimenti delle prossime settimane. Se non ci sarà una descalation, allora si dovrà procedere con le sanzioni. Chiediamoci cosa fare. Vogliamo fare la guerra? Ci sono già abbastanza cimiteri militari in Europa. Dobbiamo continuare a esercitare una pressione che da sola non basta. Serve anche il dialogo. Chi si burla dell’Ue deve constatare che non siamo un peso piuma. Chi non vuole la guerra, deve volere le sanzioni».

L’Ucraina sarà un membro dell’Ue fra cinque anni?

Juncker e Schulz: «No!».

Qual è stata una volta in cui si è sentito davvero europeo?

Juncker: «Nel 1997, durante un vertice in Ucraina, ero su una barca. Ho chiesto al mio omologo del tempo quanto ci sarebbe voluto per arrivare da Kiev a Odessa. Mi chiese il perché della mia curiosità. Gli dissi che mio padre, arruolato a forza nell’esercito tedesco, era stato ferito a Odessa. Venne fuori che il suo, che stava coi russi, era stato ferito lo stesso giorno e nello stesso posto. Ecco perché credo da sempre nell’Europa».

Schulz: «Una mattina negli archivi navali della marina portoghese, a Lisbona, il conservatore mi ha mostrato le carte e i libri di bordo di Cristoforo Colombo e Vasco da Gama. Sono sempre stato affascinato dai navigatori. Per errore, ma hanno scoperto il nuovo mondo. Noi siamo nella stessa situazione con l’Unione europea. Stiamo scoprendo qualcosa che prima non si conosceva».

 

L’intervista è stata realizzata insieme a Philippe Ricard (Le Monde),

Cerstin Gammelin (Süddeutsche Zeitung ), Ian Traynor (The Guardian)

e Luis Doncel (El País)