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Il Pd sia un’orchestra invece di dividersi in sottocorrenti

Intervista a Davide Gariglio su L’Unità del 22/4/2014 

logo-unitaLe gemelline, Chiara e Vittoria, due anni, si gustano il gelato sotto il sole tiepido di Piazza San Carlo. «Da quando ci sono loro due è cambiato tutto, ogni momento libero diventa preziosissimo», racconta Davide Gariglio, 47 anni, segretario regionale del Pd piemontese da poco più di un mese e mezzo, consigliere regionale da nove anni. Mezzogiorno è passato da poco, i torinesi si concedono un aperitivo nel salotto buono della città, un gruppo di giovani musicisti suona note blues, poco lontano si corre la «tuttadritta», dieci chilometri, ovviamente c’era anche Sergio Chiamparino che non se ne perde una. Gariglio preferisce il nuoto, ma solo quando ha tempo. Stamattina per esempio fa già campagna elettorale. «Abbiamo bisogno del contributo di tutti, stavolta si cambia», ripete ogni volta che gli chiedono come va la campagna elettorale.

Poi si siede e inizia a spiegare come intende riportare il Pd in vetta alla classifica dei partiti. Se dovesse raccontarmi con un’immagine lo stato di salute del suo partito, in piena crisi economica e con il M5S in avanzata, cose le verrebbe in mente? «Un’immensa orchestra, con bravissimi musicisti ma nella quale ognuno suona seguendo il proprio spartito». Adesso è lei il direttore d’orchestra. Come intende rimettere in sintonia gli strumenti? «Intanto bisogna iniziare a suonare tutti la stessa musica, smetterla di dividersi in correnti e sottocorrenti e puntare tutti allo stesso traguardo. Noi in Piemonte abbiamo 33 parlamentari eletti, due sottosegretari e un vice ministro. Alla Regione possiamo eleggere 18 consiglieri. Capisce di cosa parlo? Di una forza in grado di cambiare gli assetti, questo è il mio compito. Il Pd deve tornare a fare il partito, non la bocciofila come è accaduto in questi anni». Lei è un renziano convinto, Sergio Chiamparino è un renziano, vissuto in Piemonte come il premier è vissuto nel Paese. Ma la sfida è tutt’altro che decisa. Partiamo da qui, da cosa Roberto Cota, il presidente uscente, vi lascia. «Io sono sicuro che Sergio vincerà queste elezioni ma non sarà facile ritirare su la Regione. Troverà un Piemonte più povero, più triste, più disperato nel senso letterale del termine e con un bilancio economico allarmante. C’è un forte indebitamento, vicino al 90% del bilancio annuo, pari a circa 9 miliardi di euro. Le province bianche, come il cuneese, o la provincia di Novara, dove la Lega era più forte, sono diventate la culla dei movimenti di contestazione. È lì, in quelle zone, la vera sfida, dove dobbiamo contendere l’elettorato al M5s e adesso con il governo Renzi e Chiamaprino candidato, è più facile. Entrambi mandano lo stesso messaggio: c’è una sinistra che supera le proprie barriere ideologiche, i propri stereotipi e si dà il compito di cambiare le cose, davvero, con riforme istituzionali e strutturali». La sua Regione conta oltre 200mila disoccupati, non lavora il 40% dei giovani tra i 15 e i 24 anni. Come si inverte la tendenza? «La ripartenza economica del Piemonte è legata alla ripartenza del Paese. Noi qui a costo zero possiamo fare scelte che semplificano la vita delle imprese e che di conseguenza riducono gli oneri sopportati dal mondo economico per far fronte alla burocrazia. Il grande sforzo di semplificazione e deburocratizzazione di cui si parla a livello nazionale deve essere fatto anche a livello regionale. Meno leggi, meno procedure, meno adempimenti. Poi, dobbiamo agire con tutti gli strumenti che abbiamo creato in questi anni, ad esempio il Centro estero per l’internazionalizzazione del Piemonte, nato proprio per stimolare e incentivare l’export. Ma come nascono più posti di lavoro per i giovani? «I posti di lavoro nascono se si creano le condizioni per cui in Italia si torna a fare impresa. Oggi l’Italia è uno dei Paesi occidentali con il più alto prelievo fiscale sui redditi da lavoro, da impresa e con il più basso prelievo fiscale sui patrimoni e sulle ricchezze. È una tempesta perfetta, il modo più efficace per non favorire le imprese. Ma l’obiettivo che ci dobbiamo dare se vinciamo le elezioni è quello di introdurre la cultura della misurazione, dobbiamo cioè valutare in tempi certi gli effetti delle misure che adottiamo e se ci rendiamo conto che non sono efficaci, si cambiano». Come si convincono gli elettori che oggi guardano a Grillo a votare per voi? «Quando ho avuto modo di parlare con Sergio Chiamparino di questa avventura, gli ho detto che il messaggio più forte che dobbiamo mandare è quello di una innovazione. Dobbiamo fare in Piemonte quello che Renzi sta facendo a livello nazionale: c’è una classe dirigente che da venti anni è sempre lì, negli stessi posti. È ora di cambiare, di dare la possibilità a nuove generazioni di mettersi alla prova». Come sta impostando la campagna elettorale? «Ha visto gli enormi manifesti che tappezzano Torino? Ci sono Sergio e Matteo, uno vicino all’altro e sotto il simbolo del Pd. Il senso è chiaro: in Piemonte come in Italia il Pd dà il meglio». Alle ultime elezioni il Pd era al 25%. L’obiettivo che si dà per il 25 maggio? «Il 30% e sono soddisfatto».