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Un contratto unico in tutta l’Europa per far ripartire subito il lavoro

Intervista ad Alessia Mosca su La Stampa del 6/5/2014

logo_stampa_«L’integrazione europea passa anche e soprattutto dal mondo del lavoro. Per favorirla dobbiamo istituire un contratto di lavoro unico, valido per tutti i Paesi». Alessia Mosca, deputato Pd e capolista alle Europee nel Nord-Ovest, lancia la sua proposta per andare verso l’unificazione del mercato del lavoro europeo.

Intanto, però, in Italia la disoccupazione cresce.

«Purtroppo in questi anni molti di noi hanno usato l’Ue come capro espiatorio di tutti i mali. Ma se siamo in questa situazione è perché in passato non abbiamo fatto le riforme necessarie. E così, con l’arrivo della crisi, ci siamo rivelati più vulnerabili».

Oggi come si può uscire da questa fase nera per il mercato del lavoro?

«Stiamo portando avanti una riforma per arrivare a un contratto unico a garanzie crescenti».

 

Crede che possa bastare per risolvere il problema disoccupazione?

«È un buon inizio, ma purtroppo non è sufficiente intervenire sulle norme per creare lavoro. Servono altre riforme strutturali, come quella della burocrazia, per snellire pratiche e procedure».

 

Intanto i giovani, per lavorare, sono costretti ad andare all’estero.

«E noi dobbiamo intervenire per rendere più semplice l’integrazione dei lavoratori. Non solo di quelli che emigrano per disperazione, perché nel loro Paese sono disoccupati. Ma anche di quelli che ormai vivono la mobilità lavorativa come la normalità, mi riferisco a quelli della mia generazione».

 

Come?

«Non è possibile che esistano 28 diversi sistemi in altrettanti Paesi. La mia proposta prevede la creazione di un contratto di lavoro unico, valido in tutta l’Ue. Uno dei punti su cui è fondata è la mobilità dei lavori: noi abbiamo il dovere di renderla possibile. Anche perché la mobilità favorisce la crescita e lo sviluppo delle economie locali».

 

Un contratto unico aiuterebbe?

«Certo, con questo sistema il lavoratore si vedrebbe riconosciuto automaticamente anzianità e contributi, anche se maturati in un altro Paese».

 

Già oggi, però, c’è la possibilità di riscattare i contributi.

«Sì, ma il sistema è molto macchinoso, complicato. E alla fine c’è chi rinuncia a farsi riconoscere qualche mese di lavoro fatto all’estero».

 

Regole uguali per tutti anche per quanto riguarda i minimi salariali?

«Quello dovrebbe essere l’obiettivo finale, ma bisogna agire passo a passo. Iniziamo a riconoscere alcuni diritti, come i contributi previdenziali. Poi lavoreremo per un’unificazione salariale e anche in ambito fiscale».

 

Pare un’utopia…

«Tutte le conquiste Ue, all’inizio, erano viste come utopie: l’unione, l’euro. E alla fine sono stati raggiunti obiettivi che sembravano irrealizzabili. Io voglio mettere il mio mattoncino».

 

Sembra un processo a lungo termine.

«Non è così: iniziamo subito col creare il contratto unico, lasciando in vita tutti gli altri sistemi. All’inizio rendiamo facoltativa la sua applicazione, facciamo una sperimentazione. Io sono convinta che aziende e lavoratori capiranno i vantaggi e lo applicheranno».