GD BIELLA. UMANITÀ IN RIVOLTA: “Il lavoro, la lotta e il diritto alla felicità”
a cura dei Giovani Democratici Biella
“Mi sono posto l’idea di disegnare una dimensione nuova, che si caratterizza con una nuova forma di umanità ancorata nella giustizia sociale, nel rapporto tra capitale e natura, nella solidarietà come necessità, quindi un cammino di lotta, verso un’isola di felicità, una felicità intesa come prospettiva collettiva”, Aboubakar Soumahoro, attivista sindacalista, si occupa dei diritti negati ai tanti braccianti che lavorano nei campi. Quando andiamo in un supermercato, ci soffermiamo mai a pensare alla provenienza di frutta e verdura?
Derivano dal lavoro di persone costrette a vivere in condizioni invivibili privati di tutti i diritti, proprio quegli individui che, soltanto in questo periodo di crisi, è stato chiaro quanto importanti siano per le nostre abitudini alimentari: noi giovani democratici riteniamo che il Covid-19 sia un’opportunità al cambiamento che porta a confrontarci con il senso della realtà spesso falsificata con i media. I braccianti, non sono solo immigrati, stranieri senza documenti o arrivati in clandestinità, ma sono anche italiani. Attorno a loro ci sono le loro famiglie, ed è per questo che nella nostra situazione attuale bisogna partire con l’idea di far convivere salute e lavoro. I braccianti, come tutti gli altri lavoratori, necessitano di un salario dignitoso, di una quantità di ore lavorative adeguate, di un’abilitazione decorosa e di una regolarizzazione; senza questi requisiti la loro vita non potrà essere considerata degna di uno stato civile e verrà controllata di conseguenza dalla criminalità organizzata che si sostituisce allo stato.
Ma arriviamo ad un punto importante: Voi stessi, se vi trovaste in questa situazione, cosa fareste? Vi aggrappereste all’unica via di uscita, che pone le “adeguate” basi per una vita perlomeno in sicurezza. Ed è da questo momento che ci si avvicina alla criminalità, alle droghe e al mercato nero. Il filo che lega il caporalato e lo sfruttamento agricolo italiano è molto profondo: in molti casi queste persone sono costrette a dormire, magiare e cucinare in spazi comuni, in condizioni poco dignitose e privi di servizi igienici e acqua corrente, in un periodo in cui il Virus richiede pulizia, quattro pareti in cui rifugiarsi al sicuro e soprattutto il mantenimento delle distanze di sicurezza.
Con i due decreti sicurezza promossi da Salvini nel 2018 – e vergognosamente ancora in vigore – i diritti già precari di quelle persone senza un regolare permesso di soggiorno, che per sopravvivere si affidano ad associazioni malavitose o sfruttatori di lavoro, sono stati ulteriormente ridotti. Stiamo quindi parlando di soggetti clandestini, i quali sono arrivati in Italia per un futuro migliore e invece non posso garantirsi un tetto sopra la loro testa e un documento per identificarsi. Questo è utile a capire che la regolarizzazione serve per garantire loro le agevolazioni mediche garantite dalla costituzione italiana all’articolo 32, ponendo la tutela alla salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Non tralasciamo la questione fiscale: nel caso in cui la regolarizzazione venga messa in atto, vi è un contributo nel pagamento delle tasse e dei contributi, portando alla crescita del Pil. Questo sicuramente sarebbe un duro colpo contro le mafie e al mercato nero.
In una situazione così drammatica e difficile, si è spinti verso la delinquenza. A tal proposito si apre il tema carcerario: già in tempi passati si è parlato di sovraffollamento, ma oggi giorno – come definisce il giornalista Alessio Scandurra – “l’Italia è la vergogna d’Europa”. È quindi necessario alleggerire la pressione interna delle carceri e limitare gli ingressi, in particolar modo durante il Covid-19, virus che, abbiamo visto, può entrare in modo semplice attraverso le sbarre. In primo luogo possiamo far ricorso a forme alternative, come la reclusione domiciliare e l’affidamento in prova, tramite braccialetti elettronici, successivamente ci si deve operare per migliorare il reinserimento all’interno della società rieducando ex detenuti limitando in questo modo il numero di persone destinate a misure restrittive. Non devono esserci distinzioni: la rieducazione e l’inserimento deve valere per tutti! Il nostro ideale si basa sul poter rieducare con un impegno di forme di reazione al crimine e la necessaria disponibilità sociale a riattivare un rapporto di fiducia con chi ha infranto la legge. Non dobbiamo pensare solo a noi stessi in modo egoistico: ci sono soggetti completamente esclusi dalla società in cui viviamo, isolati e abbandonati a loro stessi, in balia di un qualcosa di indefinito. È per questo che non dobbiamo creare etichette, ma aiutarci l’un con l’altro, riallacciare rapporti di fiducia, creare posti di lavoro volti alla rieducazione, alla socializzazione e all’accrescimento di politiche socio- economiche.
Se decidiamo di restare in questa situazione, saremo tutti nella stessa barca, ma con una piccola eccezione: le barche non sono tutte uguali!