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Riforma elettorale, Giorgis: “Ma c’è qualcosa da rivedere”
Andrea Giorgis su L’Unità del 23/1/2014
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Come scriveva ieri sulle pagine di questo giornale Pietro Spataro, quella che sembrava una missione impossibile è a portata di mano: la riscrittura della legge elettorale, la modifica del Titolo V e la revisione del Senato. Tre riforme tra loro strettamente collegate e necessarie per rendere le nostre istituzioni politiche meglio capaci di affrontare la crisi economica e di superare le disuguaglianze sempre più marcate che si sono venute consolidando.
Tre riforme che occorre dunque fare presto e bene, molto bene, perché c’è in gioco la ricostruzione di un rapporto di fiducia nelle istituzioni rappresentative e per questa via il rafforzamento della loro capacità di governo.
Per fare bene, occorre allora avere cura di approfondire nel merito ogni aspetto ed occorre cercare di superare tutti i limiti della previgente legge elettorale dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale e dell’attuale forma di governo.
In questa prospettiva il Parlamento potrà dare un contributo significativo, soprattutto se, nel tradurre l’accordo politico in legge, come hanno auspicato numerosi commentatori, saprà approfondire alcune questioni.
a) Innanzitutto quella di garantire ai cittadini una maggiore possibilità di giudicare la qualità dei singoli candidati e quindi di un maggiore peso nella scelta dei rappresentanti: consentire ai cittadini di esprimere una qualche preferenza, oltre a soddisfare esigenze di pregio costituzionale, potrebbe contribuire a ridurre la distanza tra eletti ed elettori e in tal modo a ricostruire un rapporto di fiducia nelle istituzioni rappresentative, di cui oggi c’è un fondamentale bisogno;
b) In secondo luogo occorre evitare che via sia una irragionevole e sproporzionata compressione delle esigenze della rappresentatività e dell’uguaglianza del voto. Correttivi alla trasformazione proporzionale dei voti in seggi sono ammissibili – ha sottolineato la Corte – (ed anche desiderabili, aggiungiamo noi), se non si spingono ad alterare in maniera eccessiva “la composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente” (come invece prevedeva la legge elettorale n.270 del 2005). Da questo punto di vista è molto apprezzabile l’ipotesi del doppio turno e proprio perché apprezzabile è opportuno che la soglia per l’accesso al premio non sia troppo bassa (come invece appare la previsione del 35%) e che il premio non sia troppo consistente (come probabilmente è il 18%). Analogamente non debbono essere eccessive le soglie di sbarramento, specie per le liste che non si presentano in coalizione. Il combinato disposto di una soglia bassa per l’accesso al premio e di una soglia alta di sbarramento per le liste che si presentano da sole costringe le forze politiche a coalizzarsi: il che, come ci ha dimostrato l’esperienza di questi anni, non conduce automaticamente alla formazione di governi forti e stabili. Affinché una coalizione possa governare efficacemente è infatti necessario che sussistano o si realizzino condizioni sostanziali di unità; è in altri termini necessario che i partiti politici non siano marginalizzati e le coalizioni siano espressione di un processo reale di integrazione. Ciò ovviamente non significa negare che la semplificazione del sistema politico e la costruzione di una democrazia dell’alternanza siano esigenze reali. Ma solo evidenziare che una eccessiva e astratta semplificazione, priva di sostanza programmatica, rischia di tradursi nel suo contrario, ovverosia nella polverizzazione dell’intero sistema rappresentativo, e nel conseguente incentivo a pratiche populiste e demagogiche (che, nell’immediato, possono dare l’impressione di sopperire alle difficoltà dei processi partecipativi e alla frammentazione politica, ma alla fine si dimostrano incapaci di conferire alle istituzioni quella forza e quella legittimazione di cui necessitano per mantenere le promesse dello sviluppo e dell’uguaglianza).
c) Infine, come hanno evidenziato quasi tutti i docenti auditi in commissione e come da tempo sottolineano numerosi esperti, per scongiurare il rischio che in un assetto politico tendenzialmente tripolare, dalle elezioni non emerga alcuna chiara e solida maggioranza di governo, occorrerebbe anzitutto superare l’attuale Bicameralismo perfetto e prevedere che solo più la Camera dei Deputati sia chiamata a conferire la fiducia al Governo. La riforma della legge elettorale, da sola, non è in grado di risolvere compiutamente le esigenze di stabilità e di governabilità: sarebbe perciò necessario che la discussione sulla nuova legge elettorale si svolgesse insieme alla discussione sulla riforma del Titolo V e in particolare sulla riforma del Senato.
Tre questioni importanti, tra loro strettamente collegate, che le Camere dovranno approfondire per avviare e sostenere un processo di riforme di cui il Paese ha un urgente bisogno e che grazie all’azione del Partito democratico e del suo segretario è oggi diventato possibile.