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Le pensioni d’oro sono un alibi per attaccare anche quelle più povere

Cesare Damiano su Gli Altri del 14/3/2014

Pensioni d’oro, d’argento, di bronzo e di ferro: tutte sullo stesso piano. Il tema previdenziale corre il rischio di essere trattato con slogan populisti adatti a ipotetiche platee elettorali più che affrontato nel merito. Lo ripetiamo ormai da tempo: correggere la “riforma” Fornero introducendo un moderno criterio di flessibilità nel sistema pensionistico significa aprire le porte delle aziende ai giovani. Se le vecchie generazioni saranno infatti costrette a restare al lavoro fino a 67 anni, i loro figli e nipoti resteranno a casa in attesa di un lavoro che non c’è. Ma non è tutto, perché è in gestazione un nuovo attacco al sistema pensionistico. Come se non bastassero tutti gli interventi fin qui fatti e che hanno fortemente penalizzato i lavoratori e le lavoratrici, ora l’attenzione si rivolge anche alle pensioni in essere.

L’argomento, ancora una volta, è il riequilibrio dei diritti e delle prestazioni tra le vecchie generazioni e quelle più giovani. Il ragionamento non farebbe una grinza se ci trovassimo di fronte ad una pura equazione matematica o ad una logica di vasi comunicanti. Ma così non è. Vogliamo essere molto chiari: no ai privilegi, Ma no a nuovi attacchi al sistema pensionistico la cui strada da perseguire è la gradualità. Bisogna promuovere pensioni flessibili con un sistema di penalizzazioni e premi per reintrodurre la gradualità cancellata dalla legge Fornero. Occorre prevedere per i giovani una pensione di base di 442 euro mensili, finanziata dalla fiscalità generale – da affiancare a quella contributiva maturata – per garantire ai giovani un tasso di sostituzione pari almeno al 60% (rapporto pensione/retribuzione).
Quando parliamo di pensionati non dimentichiamo che non abbiamo di fronte dei numeri: dobbiamo abituarci a parlare di persone, di individualità, di storie fatte di sacrifici e di scelte avvenute nei diversi contesti storici. Senza omettere che esiste anche l’abuso delle pensioni d’oro, quelle ottenute e concesse attraverso calcoli di convenienza attuariale o con la sommatoria di vitalizi dovuti al cumulo degli incarichi: in questo caso è giusto parlare di privilegi che vanno combattuti; ma l’impressione che abbiamo è quella che invece si voglia partire dalle “pensioni d’oro” per scivolare verso quelle d’argento e non fermarsi lì. Poi si passa a quelle di bronzo e a quelle di ferro: parliamo degli operai da 1.200 euro netti mensili guadagnati dopo 35/40 anni di lavoro alla catena di montaggio o nelle fonderie. Il peccato originale di questi lavoratori, secondo alcuni commentatori e studiosi, è quello di avere un assegno pensionistico calcolato con il sistema retributivo. Il rimedio? Ricalcolare tutte queste pensioni e, nel caso ci fosse uno scostamento rispetto al calcolo contributivo, decurtare la cifra in più dalla pensione attualmente percepita. Un’operazione socialmente mostruosa che getterebbe nel panico più di 15 milioni di pensionati. Naturalmente i sostenitori di questa tesi si affrettano a dire che verrà fissata una soglia minima: 2.000 o 3.000 euro, non si sa se netti o lordi. Parliamo in ogni caso di cifre che toccano il lavoro dipendente con carriere medio-basse (La voce.info ad esempio, fissa il tetto per il ricalcolo a partire dai 2.000 euro lordi mensili).
Una volta iniziato il declino verso la cancellazione dei diritti, non si sa dove si andrà a finire. La giusta lotta contro le “pensioni d’oro” diventa in realtà il grimaldello per scardinare nuova, mente il sistema pensionistico. Questo disegno va sconfitto. Dopo il salasso subito dalla previdenza con la “riforma” Fornero a carico dei lavoratori che stavano per andare in quiescenza, adesso l’attenzione si rivolge al “tesoretto” delle pensioni in essere. Ancora una volta si pone un problema giusto, quello della pensione adeguata per i giovani, e si suggerisce la soluzione sbagliata: la riduzione dell’assegno a chi è oggi in pensione, non distinguendo tra chi arriva a malapena a fine mese e chi nuota nell’oro.
Dopo la novità dei “lavoratori poveri”, adesso vogliamo aumentare la platea dei “pensionati poveri”? Sarebbe una scelta contraddittoria con quello che ha affermato lo stesso Renzi: “Dobbiamo pensare anche ai non garantiti, senza eliminare diritti ma dandoli a chi non li ha”. Una frase pronunciata nell’ormai famoso incontro con il segretario della Fiom Maurizio Landini.
Per trattare seriamente l’argomento pensionistico abbiamo individuato alcuni punti riassunti in un decalogo predisposto da un gruppo di parlamentari della Commissione Lavoro della Camera con l’associazione Lavoro Welfare:
1. Dal retributivo al contributivo.
2. Giovani e Pensioni.
3. La flessibilità in uscita.
4. Gli “esodati”.
5. Le ricongiunzioni.
6. L’armonizzazione dei regimi pensionistici per cui siano previsti requisiti diversi da quelli vigenti nell’Assicurazione Generale Obbligatoria.
7. L’automatismo delle prestazioni Inps.
8. L’indicizzazione delle pensioni e il Tavolo di concertazione.
9. La governance dell’Inps.
10. Le pensioni d’oro.
Proprio su questo ultimo tema abbiamo formulato alcune proposte: fissare un tetto di 5.000 euro netti mensili, pari a circa 90.000 euro lordi annui; non sommare per il conseguimento di questa soglia, le pensioni integrative o complementari; sommare, al contrario, i vitalizi di varia natura (regionali, del Parlamento nazionale ed europeo). Infine, studiare un metodo che non sia il ricalcolo e che non incorra nella censura della consulta: ad esempio il congelamento della indicizzazione o la stabilizzazione del contributo di solidarietà oltre la soglia individuata. Le risorse risparmiate andrebbero in ogni caso restituite al sistema pensionistico.