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“Comunità Democratica”, altro che benaltrismo

Enrico Borghi su Europa del 3/4/2014

La “due giorni” di Pompei e Stabia ha fatto partire la nave di “Comunità Democratica”, la nuova area del Pd alla quale hanno già aderito diversi parlamentari che lo scorso 8 dicembre si trovarono su posizioni congressuali differenti ma che condividono sia l’analisi sull’attuale momento sia la prospettiva di lavoro dei prossimi anni.

Sul contingente, “Comunità Democratica” parte dalla constatazione che il congresso è terminato e occorre ora impegnarsi per rafforzare il lavoro della segreteria e del governo, dentro una logica di approfondimento e senza distinguo o benaltrismi che in questa fase risultano decisamente inopportuni. La riuscita del processo delle riforme è anzitutto interesse dell’Italia, e dalla sua riuscita dipende il futuro del Pd. Ma perché le riforme riescano, occorre l’incrocio di due variabili: velocità e profondità.

La prima è certamente una cifra caratteristica di Matteo Renzi. La seconda la dobbiamo raggiungere tutti insieme, ciascuno portando le proprie opinioni, esperienze e capacità, ed evitando che la discussione al nostro interno sui temi chiave – dalla riforma del mercato del lavoro a quella elettorale, dalla politica economica alle riforme istituzionali – si trasformi in un surrettizio tentativo per riaprire la stagione congressuale, o addirittura il suo trasferimento nelle sedi istituzionali.

Sulla prospettiva, lo spazio di “Comunità Democratica” si propone di recuperare la prospettiva dell’Ulivo come sintesi e somma di tutti i riformismi italiani, circostanza oggi che rischia di essere messa in ombra da un’adesione al Pse avvenuta in fretta e senza una riflessione analitica sui limiti e sull’anacronismo di un partito – quello socialista – che fatica e in alcuni casi (la Francia ci è vicina) arranca nel saper sintetizzare le domande di innovazione e di cambiamento che vengono dalla società europea.

Dall’altro lato, pone con grande nettezza il tema della contrapposizione non più tra destra e sinistra, tra conservatori e progressisti, ma tra fautori della democrazia rappresentativa e profeti della democrazia individualista e neo-populista, nella quale la rete funge da unico mezzo di collegamento tra leadership mediatiche e verticistiche e il popolo solo e atomizzato.

Questo è il nuovo terreno di scontro. Da un lato la democrazia organizzata, fondata sulla mediazione dei partiti; dall’altro la democrazia solitaria, fondata sul rapporto immediato e diretto tra singoli e vertici. In un contesto nel quale sembrano essere tornate di grande attualità le parole di Maritain del 1949: «Il popolo deve essere risvegliato oppure utilizzato? Dev’essere risvegliato come fatto di uomini, o frustato e trascinato come il bestiame?».

Oggi i partiti della rappresentanza collettiva vengono presentati come datati, perché non hanno saputo riformare se stessi né le istituzioni. E l’alternativa che viene posta sul campo è fatta di personalizzazione, leaderismo e leadership carismatiche che fondano le proprie fortune sulla solitudine del cittadino.

Ma se ci pensiamo bene, di fronte al prorompere delle crisi globali, oggi da solo il singolo cittadino cosa può fare? Di fronte all’emergere di un’economia globale fondata su flussi di capitale spostati da chi controlla le rivoluzioni tecnologiche; di fronte all’emergere di reti di comunicazioni planetarie strumento di potere inusitato e inedito; di fronte all’emergere di un nuovo ordine mondiale con un passaggio di influenza da Occidente a Oriente e da Nord a Sud. Bene, di fronte a tutto questo, il cittadino da solo, ancorché collegato alla rete e connesso con i social network che fa, se non la fine del povero proletario dei sobborghi londinesi raccontati da Dickens?

Ecco perché pensiamo che oggi più che mai occorra costruire e ricostruire comunità. Perché la capacità di scrivere in modo moderno e innovativo le regole per un nuovo bilancio dei poteri in grado di assicurare che equità, giustizia e solidarietà non siano parole desuete è nelle mani della politica, se essa sarà essere all’altezza.

A noi è data la responsabilità storica di costruire, ricostruire e ripartire, nella consapevolezza che sta a noi, soltanto a noi democratici, la salvaguardia di un’idea di democrazia alla quale non siamo disposti a rinunciare.

@EnricoBorghi1